Individuare un falso in bilancio dall’esterno, sulla base delle sole informazioni pubbliche, non è facile e non sempre è possibile.
In presenza di vere e proprie frodi può essere impossibile anche per il revisore, figuriamoci per chi può leggere soltanto il bilancio!
Fatta questa doverosa premessa, da una lettura approfondita del bilancio, accompagnata da qualche rielaborazione dei dati, è possibile individuare importanti “indizi”.
Si possono identificare chiarissimi “campanelli di allarme”, quelli che i revisori chiamano “aree di rischio”.
Nel seguito, a titolo esemplificativo, analizzerò alcune politiche di bilancio scorrette che, talvolta, sono adottate nei bilanci delle imprese che presentano squilibri economici e patrimoniali.
E quali sono gli indizi che lasciano sulla loro strada.
Quando si truccano i bilanci
Sarebbe bello poter dire mai, ma nel mondo reale, quando il bilancio non rappresenta una situazione veritiera, nel stragrande maggioranza dei casi, si tratta di un’impresa in difficoltà. Talvolta l’amministratore cede alla tentazione di rappresentare uno stato di salute della sua impresa migliore di quella reale.
Il fine è quello di non perdere l’indispensabile fiducia dei propri stakeholders (primo tra tutti, in Italia, le banche).
L’intenzione, in molti casi, è quella di tornare a fornire una rappresentazione veritiera non appena lo stato di salute dell’impresa migliorerà ma, come noto, talvolta la situazione invece peggiora fino al default.
Ci sono anche altri momenti nella vita di un’impresa che sono, come dire, a rischio di falso. Come il prossimo ingresso di un nuovo socio, la cessione delle quote o la quotazione in Borsa. Naturalmente esiste anche la situazione opposta, ovvero la rappresentazione in bilancio di uno stato di salute peggiore di quello reale, per evadere le imposte. In questo articolo non tratterò tali situazioni in cui il bilancio è “sgonfiato”, ma mi focalizzerò sul caso opposto, in cui vengono adottate politiche di massimizzazione del risultato. O forse sarebbe più corretto dire, nella maggioranza dei casi, minimizzazione delle perdite.
Spesso tra i non addetti ai lavori si pensa che un bilancio sia falso quando rappresenta operazioni fittizie, ad esempio attraverso fatture false.
Può accadere, ma si tratta di situazioni estreme, per fortuna non così diffuse.
Nella maggioranza dei casi i bilanci falsi non contengono falsi materiali, ma ciò nonostante rappresentano uno stato di salute dell’impresa non vero.
Vediamo come.
abuso della soggettività intrinseca dei criteri di valutazione
L’alterazione della rappresentazione veritiera e corretta dei bilanci viene ottenuta in prima battuta attraverso la scorretta applicazione dei criteri di valutazione.
L’abusare della soggettività intrinseca nel processo valutativo, infatti, consente comunque, a differenza dei falsi materiali, al redattore del bilancio di difendersi nel caso in cui fosse accusato di avere falsificato il bilancio.
È il “classico” caso delle rimanenze di magazzino, delle capitalizzazioni, della valutazione dei crediti, dell’iscrizione dei fondi rischi, dell’iscrizione delle attività per imposte anticipate, per citare le voci principali.
Affrontiamoli in dettaglio (mi limiterò a quelli meno tecnici).
falso in bilancio: il primo classificato, con distacco, il magazzino
Si dice, non a torto, che la voce “meno vera” dei bilanci delle imprese sia il magazzino, ma perchè?
Il magazzino, a differenza delle vendite, degli acquisti, dei costi del personale e di tutti gli altri costi d’esercizio, si presta maggiormente, soprattutto tra le imprese non tenute alla contabilità di magazzino, ad essere esposto ad un valore non corretto.
Il valore del magazzino di fine anno non si legge su un documento esterno, come nel caso delle fatture di acquisto (e non espone ai rischi in materia di IVA).
Il codice civile richiede che sia iscritto in bilancio al minor valore tra il costo ed il valore di mercato.
Ma per definire tale valore è necessario fare l’inventario e conteggiare le quantità in giacenza.
Successivamente bisognerà individuare il valore da attribuire a tali quantità.
Se poi non si tratta di merci, il tema è ancora più complesso (per non parlare delle commesse pluriennali).
Nel caso di semilavorati e prodotti finiti, le imprese di minori dimensioni potrebbero persino non essere in grado di determinare correttamente il costo di produzione, rendendo quindi arduo sapere se le rimanenze sono effettivamente state valutate al minore tra costo e mercato.
Quantità e valutazione al minore tra costo e mercato
Dall’esterno è impossibile sapere a quanto ammontano le quantità in giacenza, così come è impossibile sapere se l’impresa riuscirà a cederle almeno ad un prezzo pari al costo sostenuto, o se invece sarà costretta a venderle in perdita (oppure se non riuscirà proprio a venderle).
Inoltre, a posteriori, è spesso impossibile risalire all’importo corretto delle rimanenze.
Il valore delle rimanenze finali di magazzino comporta un incremento del risultato dell’esercizio di pari importo.
Un’impresa in perdita, pertanto, potrebbe falsificare il bilancio indicando un valore delle rimanenze di magazzino superiore a quello che si sarebbe determinato applicando correttamente i principi civilistici.
L’obiettivo in genere è quello di nascondere in tutto o in parte le perdite di gestione.
l’effetto boomerang
Non si deve però dimenticare “l’effetto boomerang“: il maggior valore delle rimanenze in un esercizio diventa un maggior costo nell’esercizio successivo.
Di conseguenza, chi aumenta il valore delle rimanenze potrebbe essere “condannato” ad incrementarlo tutti gli anni. Si veda qui per capire come gestire contabilmente le rimanenze di magazzino.
L’esempio che faccio sempre agli studenti è che gonfiare il magazzino è come con la droga, per continuare a sentire l’effetto bisogna sempre aumentare la dose e, inevitabilmente, prima o poi finisce male.
Infatti, e qui arriviamo a come individuare gli indizi di possibile alterazione del valore delle rimanenze, alla lunga così facendo il valore delle rimanenze iscritto in Stato patrimoniale non sarà più credibile.
Come individuare gli indizi del falso in bilancio
Ad esempio, rapportando le rimanenze al fatturato per verificarne il peso percentuale.
E, successivamente, verificando il trend di tale % nel corso degli anni, l’incremento della percentuale costituirebbe un indicatore di maggior rischio.
Un altro importante indizio si può ottenere confrontando tale % con quella media dei bilanci delle imprese che operano nel medesimo settore.
Se i principali competitor, ad esempio, hanno un valore compreso nel range 30-40% dei ricavi e il bilancio che stiamo osservando ha una percentuale dell’80% o del 120%, è molto probabile che parte di quelle rimanenze non esistano e/o non siano vendibili ad un prezzo almeno pari al costo.
Si tratta del confronto nel tempo e nello spazio di cui ho parlato nella prima puntata degli articoli sull’analisi di bilancio.
Nel caso di calo del fatturato, ci si aspetta che, entro certi limiti, il peso delle rimanenze cali in modo più che proporzionale, in quanto le difficoltà finanziarie dell’impresa dovrebbero indurre ad una politica di minimizzazione delle rimanenze.
Nella realtà, invece, talvolta accade l’opposto.. e non è un bel segnale… a meno che sia cambiato proprio il modello di business dell’impresa.
Secondo assoluto: i crediti verso clienti
Un noto proverbio afferma “a pagare e morire c’è sempre tempo”. Purtroppo le imprese italiane non sono famose per essere puntuali nei pagamenti.
Ciò fa sì che nei bilanci delle imprese siano spesso presenti crediti verso clienti scaduti.
Le regole del bilancio richiedono (giustamente) che non sia riportato in bilancio l’ammontare che si ha diritto di incassare dai propri clienti, ma l’ammontare che si ritiene di riuscire ad incassare (tralascio in tale sede l’ulteriore problematica del costo ammortizzato).
Pertanto, per i crediti scaduti da diversi mesi o anni, si rende necessario stanziare delle svalutazioni, tanto maggiori quanto maggiore è il tempo trascorso dalla scadenza. Il tutto seguendo le indicazioni dell’eventuale legale a cui è stato affidato l’incarico di cercare di ottenere l’incasso.
Con l’invecchiamento non Migliorano
Molto spesso non si incarica il legale e il credito semplicemente invecchia, però, a differenza di un Barolo, il credito invecchiato non migliora anzi.
Nei bilanci si assiste spesso ad una “scarsa propensione” degli amministratori a svalutare i crediti per due ordini di ragioni:
- le svalutazioni non sono deducibili (se non nel limite forfetario dello 0,5% del valore nominale dei crediti alla data di chiusura dell’esercizio)
- i conti economici sono già spesso “brutti” e non si vuole appesantirli con ulteriori costi
C’è una soggettività intrinseca nel processo valutativo, ma ciò non significa che si possano non svalutare per nulla crediti scaduti da molto tempo senza una motivazione sostenibile alla base di tale scelta.
Quale è l’indizio di una insufficiente svalutazione dei crediti?
I comportamenti non corretti lasciano più di un indizio.
Per prima cosa si può determinare il numero giorno medi di incasso dei crediti (clienti / fatturato per 365) e verificare come già visto per le rimanenze, il dato dei principali competitor e l’andamento negli ultimi anni.
Se il numero di giorni medi è particolarmente elevato, è probabile che in bilancio siano stati iscritti crediti scaduti non adeguatamente svalutati.
Un ulteriore segnale è la presenza nel Conto economico di importi significativi di perdite su crediti.
Le capitalizzazioni o Costruzioni in economia
Quando l’impresa sostiene ha l’esigenza di acquire beni strumentali, in alternativa all’acquisto sul mercato, può decidere, avendone la capacità, di realizzarlo nei propri stabilimenti. In tali casi, i costi sostenuti nel corso dell’esercizio (manodopera, materiali, ecc.) vengono iscritti nel Conto economico.
A fine esercizio è necessario fare in modo che il bilancio esponga la situazione sostanziale, ovvero che l’impresa ha effettuato un investimento.
Pertanto, in applicazione del principio di competenza economica, si deve eliminare l’effetto di tali costi sul risultato dell’esercizio e, contestualmente, iscrivere nell’attivo di Stato patrimoniale i beni strumentali realizzati internamente.
Soltanto l’imprenditore è a conoscenza dei costi effettivamente sostenuti (a condizione che siano stati rendicontati nel corso dell’anno attraverso una scheda extra contabile).
Pertanto, in situazioni di difficoltà, potrebbe accadere che si quantifichino i costi da capitalizzare per un importo superiore a quello realmente sostenuto, al fine di nascondere le perdite di gestione.
Il rischio di comportamenti scorretti è ancora maggiore quando le capitalizzazioni riguardano beni intangibili (es. costi di impianto ed ampliamento e di sviluppo).
In tali casi è ancora più complicato, a posteriori, verificare l’effettivo sostenimento di costi che presentavano i requisiti per la capitalizzazione.
Un possibile indizio di capitalizzazioni per un importo non corretto è rappresentato da un incremento del saldo della voce che storna indirettamente i costi, ovvero la voce “incremento immobilizzazioni per lavori interni” del Conto economico non in linea con quello degli esercizi precedenti.
Il rischio è ancora superiore se nel medesimo esercizio l’impresa ha subito una contrazione del fatturato.
Lo scandalo di oltreoceano WordlCom è stato un esempio, secondo quanto riportato dagli organi di informazione, di falsificazione dei bilanci attraverso l’indicazione di costi d’esercizio come investimenti di Stato patrimoniale per alcuni miliardi di dollari.
Il “taglio” degli ammortamenti
Una tipica politica di bilancio che, se applicata con eccessiva disinvoltura può condurre all’alterazione dei bilanci, è quella della riduzione degli ammortamenti.
Il redattore del bilancio in ciascun esercizio deve domandarsi se il piano di ammortamento economico-tecnico inizialmente fissato è ancora da considerare corretto sulla base dell’evolversi della situazione.
Se così non fosse, è necessario rivedere il piano di ammortamento e, conseguentemente, modificare (in aumento o in riduzione) l’ammontare dell’ammortamento annuale.
Quando le imprese sono in difficoltà una delle prime politiche di bilancio applicate è quella di ridurre gli ammortamenti (attraverso una revisione della vita utile dei beni strumentali).
Si tratta di comportamenti spesso in linea con i principi contabili.
Spesso, infatti, si iscrivono ammortamenti pari all’ammontare massimo fiscalmente riconosciuto (e le aliquote fiscali sottostimano l’effettiva vita utile).
Ma se il “taglio” degli ammortamenti è eccessivo, ovvero sovrastima la vita utile economico-tecnica, si altera il bilancio.
Il lettore del bilancio può identificare tali comportamenti verificando se l’ammontare complessivo degli ammortamenti si sia significativamente ridotto rispetto all’esercizio precedente.
In tale caso, è necessario verificare se nella Nota integrativa sono indicate motivazioni credibili alla base di tale scelta (l’indicazione è obbligatoria per legge).
Ci sono poi i casi indifendibili, quelli in cui mancano completamente gli ammortamenti nel Conto economico, in cui è agevole individuare il falso in bilancio.
Ma l’esercizio 2020 sarà un anno anomalo, il “decreto agosto” ha dato il via libera “al falso” permettendo la non iscrizione fino al 100% degli ammortamenti!
Ho già commentato questa decisione del legislatore.
Quegli sconosciuti dei fondi rischi
Una situazione piuttosto comune nelle imprese in difficoltà è rappresentata dalla mancata iscrizione di fondi rischi, in violazione del Codice civile. Tale falsa rappresentazione non può però in genere essere individuata da un lettore esterno.
Possono essere identificati segnali di rischio nei casi in cui nella Nota integrativa è indicata la presenza di controversie senza l’iscrizione in Stato patrimoniale di fondi rischi, ma non si tratta necessariamente di un errore.
L’iscrizione è infatti richiesta soltanto nelle situazioni in cui la sconfitta definitiva nel contenzioso è ritenuta probabile.
Il principio di competenza economica
Un’altra modalità attraverso la quale si possono “aggiustare” i bilanci è l’errata applicazione (volontaria) del principio di competenza economica.
A fine anno è necessario imputare in chiusura i costi e ricavi (o quote di costi e ricavi) di competenza, indipendentemente dalla manifestazione finanziaria.
Ed allo stesso modo stornare i costi e ricavi (o quote di costo e ricavi) non di competenza.
Si potrebbe ritenere che tali comportamenti non costituiscano un vero e proprio falso in bilancio.. ma tutto dipende da quanto si altera la reale rappresentazione dello stato di salute dell’impresa.
Un esempio è quello delle fatture da emettere e da ricevere.
La mancata imputazione di fatture da ricevere consente di migliorare i bilanci, così come l’imputazione di fatture da emettere per vendite che saranno concluse l’esercizio successivo.
Trattandosi di operazioni realmente effettuate, l’iscrizione del costo viene soltanto rinviata all’esercizio successivo, così come viene anticipata l’iscrizione del ricavo.
Un altro tipico esempio, nel caso ricorso alle moratorie con istituti di credito e società di leasing, è quello di sospendere anche l’imputazione dei costi.
Oppure, sul versante ricavi, in caso di ottenimento di contributi su investimenti, ci si può “dimenticare” di riscontare la quota parte non di competenza dell’esercizio.
Lo stesso può valere per i costi, quando ci si “dimentica” di ridurre il risconto attivo con cui negli esercizi precedenti si è rinviata ai futuri esercizi la quota di costo non di competenza (es. maxi canoni di leasing).
Cercare nella spazzatura: i crediti verso altri
Costituiscono “aree critiche” del bilancio le voci a contenuto residuale, quelle che accolgono i saldi non classificabili in specifiche voci dell’attivo e del passivo.
Un tipico esempio è la voce relativa ai crediti verso altri che potrebbe nascondere voci relative ad operazioni non corrette.
Un segnale di rischio è pertanto rappresentato da saldi elevati in tale voce senza una chiara illustrazione del contenuto analitico nella Nota integrativa.
Lo strumento “principe” del falso in bilancio: le parti correlate
Quando l’abuso della soggettività dei criteri di valutazione non è sufficiente a raggiungere il risultato sperato, sono le parti correlate a diventare un potente strumento per la falsificazione dei bilanci.
Per parti correlate, semplificando, si intendono tutti quei rapporti con soggetti nei confronti dei quali intercorrono relazioni tali da consentire di effettuare operazioni non a condizioni di mercato (o persino prive di fondamento economico).
Un esempio? Un’operazione tra la società A, amministrata da Tizio e la società B, amministrata dal fratello di Tizio.
Tutti i maggiori scandali a livello mondiale connessi al falso in bilancio sono caratterizzati dall’abuso dei rapporti con parti correlate (es. Parmalat ed Enron per citare i più famosi).
E non va dimenticato il recente scandalo Bi-On (su cui non esprimo giudizi, aspettando l’esito dei processi).
Il FALSO IN BILANCIO: spunti dalla cronaca
Nell’ormai lontano crack Parmalat è stato dichiarato che venivano emesse fatture per operazioni fittizie ogni trimestre simulando vendite a società di comodo.
Quale può essere un segnale che consente di individuare tale rischio?
In genere, chi iscrive in bilancio vendite fittizie, non si “preoccupa” si iscrivere anche i connessi costi fittizi che l’impresa avrebbe dovuto sostenere per ottenere tali ricavi. Conseguentemente, si può cogliere un indizio di possibili fatture false dall’incremento della marginalità sulle vendite rispetto ai precedenti esercizi.
Naturalmente l’iscrizione di ricavi fittizi comporta anche, prima o poi, un valore eccessivo dei crediti (fittizi) verso clienti.
Nel crack Parmalat, le vendite fittizie alla lunga avevano prodotto un ammontare di crediti verso clienti non credibile.
Si è quindi reso “necessario” aprire un conto corrente su cui incassare i crediti fittizi.
E anche tale conto corrente non poteva che essere fittizio.
Gli elevanti incassi (fittizi) comportavano un eccesso di liquidità e, conseguentemente, come fa ogni impresa, si è deciso di investire la liquidità in strumenti finanziari (a loro volta fittizi).
il falso in bilancio con “coerenza”
Così facendo, nel tempo, lo Stato patrimoniale presentava importi coerenti di crediti, investimenti finanziari e liquidità, ma tutti fittizi.
Il falso in bilancio era pertanto clamoroso ma non immediatamente individuabile dall’esterno, anche se un importante indizio c’era….
Ho un pò semplificato, ma la sostanza è quella.
Nel mio Manuale di revisione ho illustrato diverse operazioni di falsificazione del bilancio con le connesse scritture contabili.
La vera anomalia, che si poteva individuare agevolmente attraverso l’analisi di bilancio del Gruppo Parmalat, era rappresentata dalla contemporanea presenza di una elevata liquidità e di un elevato indebitamento.
L’indice di liquidità (rapporto tra debiti a breve e liquidità immediata) segnalava una situazione finanziariamente florida.
Situazione che non era certamente coerente rispetto al continuo ricorso all’emissione di nuovi prestiti obbligazionari.
Nonostante tale liquidità, il Gruppo per rimborsare i prestiti obbligazionari in scadenza ricorreva all’emissione di nuovi prestiti obbligazionari.
La ragione, si è poi scoperto, era l’inesistenza di tale liquidità.
Il fALSO IN BILANCIO: IL crack Parmalat
I bilanci evidenziavano un alto livello di disponibilità liquide (pari ad oltre 3 miliardi di euro) a fronte del quale, però, figurava un elevato grado di indebitamento (pari a circa 7 miliardi di euro). La società ha argomentato, sostenendo che l’elevato grado di liquidità era coerente con la politica di espansione del gruppo e che l’abbondanza di attività prontamente disponibili avrebbe permesso a Parmalat di cogliere opportunità d’investimento, che si potevano presentare sul mercato.
I chiarimenti forniti facevano parte di una strategia finanziaria del gruppo, che poteva essere condivisa o non condivisa, ma che al momento appariva legittima. Non può rientrare infatti nel compito di un’Autorità di vigilanza quello di sindacare le decisioni industriali, commerciali o finanziarie di un Consiglio di amministrazione, decisioni che rimangono nell’ambito di responsabilità dello stesso. (omissis…). La questione centrale che si riteneva necessario chiarire era quella della asserita liquidità. Premeva anche far luce sull’entità delle emissioni obbligazionarie, per verificare, tra l’altro, eventuali carenze informative verso il mercato.
Fonte: Tratto dall’Audizione del Presidente CONSOB Lamberto Cardia in Parlamento. Indagine conoscitiva su « I rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio », 20 gennaio 2004
da oggi puoi approfondire con 2 libri:
LE BASI: COME LEGGERE IL BILANCIO DELL’IMPRESA. Un approccio semplice ma rigoroso.
L’ANALISI DI BILANCIO: COME VALUTARE LA PEFORMANCE DELL’IMPRESA. Un approccio semplice ma rigoroso.
QUI SOTTO, PER CHI LO RITENESSE, CI SONO I PULSANTI PER CONDIVIDERE L’ARTICOLO SUI SOCIAL
Buonasera Professore, ho un caso di falso in bilancio di una grossissima società italiana, quotata in borsa che grazie a oltre 37.800.000 azioni ottenute FALSAMENTE (DOCUMENTATO IN BILANCIO) ad un valore iniziale DI € 3.00 oggi ha un valore di oltre € 800.000.000,00 e inoltre ha danneggiato, secondo me, gli azionisti e SICURAMENTE una GROSSA BANCA ITALIANA.
Per una mia diatriba con questa società ci sono state varie azioni che hanno interrotto la decadenza dei termini e pertanto Le chiedo
Crede che sia possibile fare qualcosa ???
Grazie
3934783720 lutorina@gmail.com
Complimenti Professore per la chiarezza espositiva e l’analiticità di argomentazione!
Grazie e un cordiale saluto.
Massimo Morandi – dottore commercialista
Complimenti Professore per la sua iniziativa lodevole e per la sua chiarezza espositiva. I suoi articoli convinceranno gli Imprenditori che non si può gestire un’azienda solo ” a naso ” , come si dice dalle mie parti, e, noi commercialisti ad approfondire la conoscenza dello “stato di salute” dell’azienda.
Grazie
Dott Arcangelo Zaffiro
grazie molte, sono certamente temi rilevanti soprattutto in questo periodo storico in cui lo stato di salute in molti casi purtroppo non è affatto buono.